Livia non si è mai sentita tanto sola. I suoi passi risuonano sul marmo che pavimenta l'atrio del palazzo ottocentesco. Passa sotto gli occhi della vecchia custode, svolta a destra e imbocca la scala fiancheggiata da ringhiere in ferro battuto abbellite da lucidi corrimano in legno.
Primo piano. Si ferma di fronte ad una porta di legno scuro, di fianco alla quale riluce una targa di ottone: CLUB DELLE VIRTU'. Esita un attimo, poi suona il campanello e si pone di fronte all'obiettivo del videocitofono, in modo da poter essere riconosciuta.
Pochi istanti di attesa.
La porta viene aperta da un'esile ragazza bruna di circa venticinque anni, poco più alta di Livia. E' vestita con una camicetta di seta ricamata e una gonna aderente; ai piedi porta sandali di vernice con tacco alto, allacciati alla caviglia; le unghie delle sue mani e dei suoi piedi sono lunghe, perfettamente curate, ricoperte da uno smalto chiaro:
- Benvenuta, penitente Livia; si accomodi nel salottino.
Livia entra insieme alla ragazza in una piccola stanza arredata lussuosamente: al centro un tavolino intarsiato, intorno due poltroncine e un divano ricoperti di raso azzurro; sul pavimento c'è uno splendido tappeto, alle pareti sono appesi quadri del Settecento e uno specchio con una cornice di legno dorato.
Le due donne si siedono sul divano, una accanto all'altra. La ragazza parla con calma, a voce bassa:
- Sono la valletta Beatrice e sono incaricata di assisterla; vedo che è un po' emozionata ...
- Non ho mai fatto questa esperienza.
- Non deve preoccuparsi: si ricordi che in qualunque momento lei è libera di rinunciare; e poi, io sar accanto a lei.
Il sorriso di Beatrice è dolce, e delicata è la carezza con cui la sua mano sfiora la guancia di Livia.
- Fra poco verr a chiamarla; lei pu lasciare qui la sua borsetta e deve togliersi i sandali, perché nella sala dei giudizi le penitenti possono entrare solo a piedi nudi; quando entrerà nella sala, percorrerà la guida rossa e giungerà di fronte alle poltrone della corte, dove si inginocchierà su un cuscino di velluto; intorno a lei saranno seduti i soci emeriti del Club; adesso la lascio per un momento.
Beatrice esce silenziosamente.
Livia ripensa per l'ennesima volta alle indicazioni che le sono state date quando ha chiesto di essere giudicata: "La penitente indosserà un body nero, sgambato in modo da lasciare completamente scoperte le natiche, e un vestito lungo, senza maniche, con spalline annodate; i suoi capelli saranno corti o raccolti sulla nuca; non avrà trucco né porterà monili di alcun genere".
Meccanicamente, Livia continua a toccarsi i capelli, a controllare che tutto sia in ordine. Si guarda attentamente allo specchio: i suoi occhi sono scuri e lucidi per l'emozione e anche senza trucco risaltano sul volto lievemente abbronzato. Il semplice vestito di tessuto leggero esalta l'eleganza del suo corpo. Prima di uscire di casa ha tagliato corte le unghie delle mani e dei piedi e le ha ricoperte con il solo smalto trasparente. A un dito del piede sinistro c'è un anellino d'argento: è il suo portafortuna e non l'ha voluto togliere. Si sfila le calzature e gode del contatto con il morbido tappeto.
Passano alcuni, lunghissimi, minuti.
Si apre la porta, entra Beatrice. Con tono formale dichiara:
- La penitente Livia è attesa nella sala dei giudizi.
Con il cuore che batte forte, Livia esce dal salottino, percorre un breve tratto di corridoio Beatrice ed apre la porta che Beatrice le indica. Si trova in una sala al centro della quale, su poltrone e divani disposti a semicerchio, sono sedute numerose persone che stanno chiacchierando a bassa voce. Tutti gli occhi si rivolgono verso di lei. Livia avanza su un sottile tappeto fino a trovarsi di fronte a tre solenni scranni di legno dorato. Su quello di centro è seduta una donna di circa cinquant'anni, magra, occhi azzurri, che la fissa con attenzione. Livia si inginocchia, come le è stato detto, su un cuscino di velluto rosso. La donna le parla con voce fredda:
- Lei è la penitente Livia?
- Si, sono la penitente Livia.
- Qual è la sua età?
- Ho da poco compiuto trentuno anni.
- E' stata lei a chiedere di essere giudicata da questa corte?
- Si.
- Ha preso questa decisione in assoluta libertà?
- Si, l'ho presa senza subire alcun condizionamento.
La presidente sfoglia alcuna schede contenute in una cartellina di pelle, poi, a voce alta:
- Chiamo a far parte della corte il giudice Clelia e il giudice Marilde.
Le persone chiamate si accomodano sulle poltrone ai lati della presidente. La prima è una donna sulla quarantina, bionda, elegantemente acconciata; il suo volto sarebbe bello, se una permanente smorfia di disgusto non stirasse i lati della bocca verso il basso. La seconda è una donna anziana dall'aria severa, che si muove con una certa rigidezza; indossa un morbido vestito nero.
La presidente prosegue nell'interrogare Livia:
- Qual è la colpa di cui lei si accusa?
- Aver tradito la fiducia dell'uomo che ho sposato.
- In che modo?
- Durante una lunga assenza di mio marito, impegnato all'estero, ho conosciuto un uomo molto attraente e ho stabilito una forte amicizia con lui.
- Non c'è stato altro?
- Ci siamo baciati.
- Con passione?
- Si, con grande passione.
- C'è stato un maggior contatto fisico?
- L'avrei desiderato, ma questo non è accaduto.
- Per quale motivo?
- Per motivi casuali, estranei alla nostra volontà.
- Ha incontrato ancora quell'uomo?
- Non ho potuto.
- Continua a desiderare di incontrarlo?
- Si lo desidero, anche se so che non sarà possibile.
- Penitente Livia, lei sa che questa corte considera i desideri come equivalenti a comportamenti concreti?
- Si lo so, ed è per questo che ho chiesto di essere giudicata.
Interviene il giudice Clelia, rivelando una voce sgradevolmente stridula:
- Quell'uomo è forse più giovane di lei?
- No, è di tre anni maggiore rispetto a me.
- E' ricco?
- Non mi sono posta questa domanda.
- Quando ha tentato di sedurre quest'uomo a che cosa mirava?
Livia, stupita, esita a lungo prima di rispondere:
- Non miravo a nulla, desideravo solo conoscere meglio un uomo affascinante.
Il giudice Clelia ha il volto congestionato:
- Sotto l'eleganza dei suoi discorsi lei cerca semplicemente di celare la sua immonda libidine!
Interviene seccamente la presidente:
- Mi sembra che la penitente Livia abbia riconosciuto in modo più che sufficiente la sua mancanza e non ci sia bisogno di ulteriori indagini; informo la penitente Livia che questa corte punisce il tradimento della parola data con un certo numero di staffilate sulle natiche; le concediamo, vista la spontaneità della sua confessione, di essere lei stessa a proporre la pena.
Livia ha la sensazione che la sua mente si sia improvvisamente svuotata. Non si aspettava una conclusione così repentina. Tace a lungo, poi, percependo l'impazienza di coloro che la circondano, balbetta:
- Io penso di meritare, forse, dieci colpi, si, dieci colpi di staffile.
- Non ha null'altro da dichiarare?
- No, non ho altro da dire.
Inizia una discussione sottovoce. Il giudice Clelia e il giudice Marilde sostengono con energia la loro posizione, mentre la presidente scuote il capo. Infine, con un secco gesto della mano, la presidente tronca il dibattito e, in un silenzio profondo, annuncia la sentenza:
- Deliberiamo che la penitente Livia sia punita, per aver tradito la parola data, con diciotto colpi di staffile sulle natiche nude; deliberiamo inoltre che sia punita con dodici colpi di staffile sulle natiche nude per aver offeso la corte proponendo una pena eccessivamente bassa rispetto alla gravità della sua colpa.
Livia ha un attimo di vertigine. Si riscuote quando Beatrice, che è al suo fianco, pone una mano sulla sua spalla e la carezza dolcemente.
La presidente prosegue:
- In considerazione della sincerità della sua confessione e del fatto che la penitente Livia non è mai stata processata, riteniamo di poter compiere un atto di generosità e riduciamo di un terzo la sua pena. Riceverà quindi venti colpi di staffile. Nel rispetto delle nostre regole, la invitiamo inoltre a scegliere il giudice cui affidare l'esecuzione della sentenza.
Il giudice Clelia la fissa respirando affannosamente.
Livia esita un attimo, poi:
- Chiedo di essere punita dal giudice Clelia.
- La richiesta della penitente Livia è accolta; valletta Beatrice, provveda a tutti gli adempimenti.
Beatrice porge una mano a Livia, la aiuta ad alzarsi, e la guida verso una poltrona con braccioli imbottiti. Slaccia le spalline del vestito di Livia, che scivola morbidamente ai suoi piedi:
- Si appoggi ai braccioli, non si lamenti ad alta voce e non tenti di sottrarsi ai colpi perché potrebbe essere accusata di oltraggio alla corte.
Il corpo di Livia è piegato in avanti, le natiche sono esposte.
Beatrice, che si è silenziosamente allontanata, torna reggendo un vassoio d'argento sul quale giace una frusta formata da una treccia di morbida pelle, lunga una quarantina di centimetri e fissata ad una impugnatura anch'essa ricoperta di pelle. Clelia la impugna, ponendosi alla sinistra di Livia.
Beatrice dichiara ad alta voce:
- La penitente Livia è pronta a ricevere la punizione.
Ad un cenno della presidente, Clelia alza la frusta e, dopo un istante di esitazione, la abbatte con forza sulle natiche di Livia, che sussulta e non riesce a trattenere un gemito.
Per consolidare la propria posizione, Livia allarga lievemente i piedi e si inarca all'indietro.
- La penitente Livia è pronta per il secondo colpo.
La treccia di pelle sibila, colpisce con uno schiocco sordo. Livia respira lungamente e ancora offre le natiche.
- La penitente Livia è pronta per il terzo colpo.
La terza staffilata è più severa: le mani di Livia si contraggono sui braccioli. Clelia se ne accorge e un vago sorriso appare sulle sue labbra.
- La penitente Livia è pronta per il quarto colpo.
Mentre le frustate si susseguono, Livia è colta da una sorta di euforia che la porta a tendersi con sempre maggior decisione verso Clelia, quasi a sfidarla.
- La penitente Livia è pronta per l'ultimo colpo.
Livia è colta quasi di sorpresa.
Sibila l'ultima staffilata.
Beatrice fa risalire il vestito lungo il corpo di Livia e mormora:
- E' stata bravissima.
Livia si rivolge alla presidente e la fissa negli occhi:
- Ringrazio la corte per avermi dedicato la sua attenzione.
- Mi congratulo con la penitente Livia - dichiara la presidente - per aver superato le difficili prove dall'autoaccusa e della penitenza; le rendo noto che per questo motivo potrà aspirare alla funzione di giudice; esprimo la mia condanna nei confronti del giudice Clelia, che ha manifestato nei suoi confronti una violenta e immotivata ostilità: le ordino di manifestare pubblicamente il suo pentimento prostrandosi di fronte alla signora Livia e baciando i suoi piedi.
Livia è stupefatta. Clelia rimane paralizzata per lunghi secondi. Poi nel silenzio generale si avvicina a Livia, si inginocchia e poggia le labbra sui suoi piedi, prima il sinistro poi il destro.
La presidente fa un cenno di assenso:
- Prego la signora Livia di accomodarsi fuori dalla sala dei giudizi; la valletta Angelica introdurrà fra pochi minuti la prossima penitente.
Accompagnata da Beatrice, Livia attraversa a testa alta la sala e ritorna nel salottino.
Beatrice estrae da un armadietto intarsiato un barattolo di vetro smerigliato:
- Si volti, in modo che possa massaggiarla con questa crema.
Di nuovo il vestito di Livia scivola al suolo.
Beatrice fa scorrere delicatamente la mano sulle natiche striate dai segni violacei delle frustate. Livia sospira per il piacere, e non si stupisce quando le dita della ragazza si insinuano sotto il body, si avvicinano al sesso depilato, aggirano il clitoride, vi ritornano, lo sfiorano sapientemente.
Anche il body scivola a terra.
Livia si adagia su una poltroncina imbottita: la tensione di pochi istanti prima si scioglie in una infinita voglia d'amore. Beatrice si inginocchia davanti a lei, bacia il suo ventre, lecca i suoi capezzoli che palpitano e si induriscono, per poi ridiscendere verso il pube profumato di mirto.
Livia divarica le gambe e la lingua di Beatrice stimola il clitoride, lo fa inturgidire, lo solletica.
Livia ansima, sospira ritmicamente, con gli occhi chiusi.
La lingua di Beatrice si insinua con sempre maggior decisione.
Violente ondate di piacere risalgono la spina dorsale di Livia, scuotono il suo corpo.
Livia prende fra le mani il volto di Beatrice, bacia i suoi occhi, le sue labbra: le lingue si incontrano, si inseguono, si sfiorano.
- Ora - mormora Livia - dovrai accusarti di avermi sedotta.
- Non voglio il giudizio della corte, voglio essere punita da te, subito - risponde Beatrice.
La gonna della ragazza scivola al suolo e insieme ad essa le mutandine.
Beatrice si adagia sulle ginocchia di Livia.
Una, due, dieci volte la mano aperta di Livia colpisce sonoramente le natiche di Beatrice: la ragazza si lamenta dolcemente mentre un eccitante calore si diffonde al suo basso ventre.
- Buonasera avvocato, domani le far avere quel fascicolo.
- Perfetto, così potremo iniziare l'azione inibitoria.
Accidenti hanno già finito, pensa Livia.
Fulmineamente la freccetta del mouse si sposta sullo schermo del computer, riduce a icona il file intitolato "Il club delle virtù" sul quale Livia sta scrivendo, e apre quello denominata "Pratica 107/03".
Si apre la porta che collega l'ufficio di Livia con lo studio dell'avvocato.
- Livia, ha preparato quella richiesta per lo studio Cellani?
- Si avvocato, ho finito proprio adesso.
- La spedisca domattina per raccomandata.
- Volevo dirle che ho chiesto al notaio Borguzzi di mandare una fotocopia dei documenti per corriere espresso, così non dobbiamo perdere tempo in ricerche.
- Benissimo, vada pure; a domani.
- Arrivederci, avvocato.
Livia salva e chiude la "Pratica 107/03". Riemerge "Il club delle virtù": Livia salva il file, lo inserisce in una cartella denominata "Documenti scaduti" e clicca su "Elimina".
Nel cestino, mormora fra sé, nessuno viene a curiosare e domani lo ripristino.
Mette in ordine la scrivania, si prepara ed esce, chiudendo a chiave la porta dell'ufficio.
Si affaccia alla porta di una stanza ingombra di classificatori:
- Ciao Beatrice, a domani.
- Aspettami cinque minuti, esco con te.
- Non posso, se corro riesco a far la spesa e passo a prendere Franco al tennis.
Livia si avvia verso l'uscita, poi fa due passi indietro e scherzosamente si rivolge ancora a Beatrice:
- E smettila di mangiarti le unghie.
- Smetto domani, te lo prometto
Presso la fotocopiatrice un'impiegata sta riunendo dei fogli.
- Ciao Clelia.
La donna si volta, guarda Livia gelidamente:
- Esci già?
- Si, ho finito.
- Ti sei ricordata di telefonare allo studio Borguzzi?
- Ho chiesto che ci mandino quei documenti.
- D'accordo, a domani