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giovedì 30 aprile 2015

Il sole d'inverno


 Devo acquistare un tipo particolare di crema idratante. Chiedo informazioni alla commessa di una grande profumeria. E' una ragazza di circa 25 anni, molto graziosa, di corporatura minuta. I suoi capelli sono neri, la sua pelle color del cioccolato al latte. Non ha ciò che le chiedo e mi consiglia gentilmente un altro negozio. La ringrazio e lei si scusa per non aver potuto soddisfare la mia richiesta con un sorriso incredibilmente dolce, dal quale traspaiono serenità, intima gentilezza, voglia di far bene. Vorrei coprire di baci delicati quel volto così pulito dal quale, anche in una triste giornata nuvolosa, traspare il sole. Senza saperlo, mi ha fatto uno stupendo regalo. Il ricordo del suo sorriso illumina tutta mia giornata.

... bacchettate sulle mani ...

Ti rivedo entrare per la prima volta nel mio ufficio: minuta, capelli castani fini e ondulati che sfioravano le spalle, occhi grigio azzurri che illuminavano un volto sereno e pulito.

- Buongiorno, dottoressa, sono molto lieta di conoscerla - e accennasti a un timido inchino.
- Chiamami Stefania, visto che in questo ufficio dovremo condividere gioie, dolori, e soprattutto fatiche.
Arrossisti lievemente, e questo mi intenerì.

Ti impegnasti subito nel lavoro senza risparmiarti e senza farti notare.
Un giorno ti trovai in ufficio con largo anticipo:
- Ma che fai a quest’ora? - esclamai.
- Metto i riferimenti al tuo testo, così entro mezzogiorno lo possiamo stampare.
- Ma figurati, non era così urgente!
- Sai benissimo che lo sciacallo qui sopra – e alzasti gli occhi con una smorfia che mi suscitò una bella risata – aspetta solo una buona occasione per incastrarti.
- Hai ragione.

Mi fermai un attimo, cercando le parole:
- Sai che ti dico? invece di essere pagata, pagherei io per poter lavorare sempre insieme a te.
Di colpo ti facesti seria, i tuoi occhi assunsero una profondità che mi era sconosciuta.
- Anche io - rispondesti a bassa voce.
Ti carezzai il volto. Ebbi un attimo di vertigine. Avevo troppa paura di esplorare il territorio che si apriva di fronte ai miei occhi.

Qualche mese dopo - eravamo ai primi di giugno - ti vidi comparire in lacrime dopo l’intervallo per il pranzo. Ti guardai con stupore.
- Che ti è successo?
- Sono una stupida, ho cancellato tutto il testo di questa mattina.
- Ma figurati, lo recuperiamo!
- No non si può, ho già tentato di tutto!
- E allora vuol dire che rifaremo il lavoro.
Lo dissi con un certo nervosismo: non era certo una bella prospettiva. Tu smettesti di piangere, mi guardasti seria. Poi, con voce che mi sembrò gelida:
- Puniscimi!
- Ma insomma, smettila!
- Ti prego puniscimi.
- Non dire stupidaggini e mettiamoci piuttosto al lavoro!
- Ti prego, ti supplico, puniscimi.
Anch’io mi feci seria, capivo che non stavi scherzando.
Apristi il cassetto della scrivania in cui giacevano, alla rinfusa, matite, gomme, elastici, punti metallici, pinzatrici. Prendesti un righello di una trentina di centimetri e me lo porgesti.
Tendesti le mani.
- Puniscimi.
- Ma figurati…
La tua voce diventò supplichevole:
- Per piacere, ti prego…
Sentivo nascere in me una sensazione che non avevo mai provato. Colpii la tua mano tesa, lo feci con esitazione… Tendesti le mani con maggior decisione, allora mi infuriai con te e con me stessa: mi portavi ancora una volta su un terreno che mi era sconosciuto. Colpii più e più volte severamente, rabbiosamente. Scoppiasti in singhiozzi ma non ritirasti le mani che si arrossavano sempre più.
Gettai in un angolo il righello. Ti abbracciai.
Adesso lo sapevo: ti amavo, ti amavo follemente, ti desideravo come si desidera un gioiello perfetto, di assoluta eleganza.
Il mio cuore si fermò un attimo, poi riprese a battere con maggiore intensità.

Ti offrii una vacanza. Ti parlai del mio amore. Tu mi ascoltasti con attenzione. I tuoi occhi erano lucidi per l’emozione, ma ti limitasti ad affondare il volto nell’incavo della mia spalla, mentre io ti carezzavo i capelli.
Solo gli sciocchi pensano che tutto si possa risolvere con un si o un no. Solo i presuntuosi pensano che l’amore si possa esigere o si possa imporre. Io volli offrirtelo. Semplicemente.
Fu una vacanza intensa e breve come un sogno. Gioivo delle tue risate ingenue e sincere, di uno scherzo, di un’occhiata complice. Soffrivo nel vederti, talvolta, irraggiungibile.

Capii di dovermi muovere come un artigiano che, soffiando in una sottile cannuccia, produce fragilissime bolle di vetro colorato: basta che non si fermi all’istante giusto, e la bolla va in mille briciole.
Scoprimmo che da una spiaggetta, camminando nell’acqua che copriva appena i nostri piedi, si poteva facilmente raggiungere un piccolo promontorio. Lì si trovava una roccia che, scavata dal mare, pareva una poltrona. La sera ci andavamo, allontanandoci dalla passeggiata popolata di luci, tavolini di caffé, palme e famigliole.
Lì il mare prendeva il sopravvento. Il suo mormorio sostitutiva i rumori della vita cittadina, mettendoli in sottofondo.
Di notte tutto si attenua, tutto si appiana.
Il mare è molto saggio. Non si scandalizzava certo quando prendevo il tuo volto fra le mia mani e lo coprivo di baci, quando le tue labbra si aprivano incontrando le mie, quando le mie carezze suscitavano gemiti di piacere dalle tue labbra socchiuse.
Ogni notte gonfiavo una bolla di vetro sottile, tremando per la paura di vederla frantumarsi all’improvviso.

Al nostro ritorno due notizie ci attendevano: la mia promozione a coordinare le iniziative rivolte al mercato tedesco, per cui un ufficio mi attendeva a Coblenza, e la tua promozione ad occupare il posto che era stato mio fino ad allora.
All’inizio riuscimmo ad incontrarci spesso, poi il peso dei nostri impegni quotidiani prevalse. Ti vidi sempre più distratta, sempre più lontana.

La bolla è ormai in briciole. Ogni tanto ripenso ai suoi mille riflessi colorati.